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Crosetto ministro senza memoria dimentica gli ultimi 30 anni

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Mi meraviglio che si meravigli il ministro Crosetto a cui una domanda mi pare più che legittima: ma dove è stato negli ultimi 30 anni? Ricorda le monetine lanciate in quella piazza di Roma dai suoi padri politici? Dimentica il cappio in Parlamento? Dimentica il potere trasferito alle Procure d’Italia senza protestare? D’altronde nessuno dei “sedicenti governi” dal 1994 ad oggi nelle mani degli incompiuti aspiranti leader da Berlusconi, passando per Dini, Prodi, Amato, D’Alema, Letta, Gentiloni, Conte, Monti, Draghi e per finire con Meloni si sono insediati sotto l’abusivo appellativo di voler riformare alcuni la giustizia ed altri il fisco e quelli più arditi e sfacciati addirittura entrambi. Orbene nessuno di loro ha fatto nulla. Ormai, dopo 30 anni, la narrazione sul piano giudiziario e fiscale ci ha messi fuori dal consesso civile del mondo, valga per tutti una famosa frase di un notissimo ex vice procuratore ormai vergata nei tribunali, nelle radio e nelle Tv per cui, sul piano penale, non esistono innocenti ma colpevoli non ancora scoperti. Tale principio è quello che fu adottato nell’anno del Signore 1992 per cui era l’indiziato di un reato penale a dover dimostrare la sua innocenza e non il procuratore a dimostrare la sua colpevolezza. Se nemmeno col cosiddetto “Caso Palamara”, con cui si è avuta la prova provata del livello a cui si è arrivati nel gestire la giustizia, cosa è successo? Nulla, nemmeno dal colle più alto. Anche il buon ex procuratore Nordio ci ha provato a settembre scorso ma, come si è visto, è stato silenziato perché l’area politica del presidente del Consiglio si è sempre distinta per ghigliottinismo giudiziario in questo accompagnata e molto spesso superata dalla sedicente sinistra.

La dimostrazione, per confessione si potrebbe dire, l’ha data troppi anni dopo Piero Sansonetti quando, nel suo bel volume “La sinistra è di destra”, ha confessato quello che avveniva durante tangentopoli laddove la Stampa, Repubblica, il Corriere della Sera e l’Unità (ai quali dopo un po’ si accodarono, con un ruolo del tutto ancillare, altre testate, come il Messaggero e, alla fine anche il Giornale di Montanelli) concordavano le notizie da dare per il giorno dopo, la prima pagina e quant’altro servisse a distruggere i vari soggetti del pentapartito. Non risultano, ad oggi, smentite dai direttori né dei proprietari delle testate dell’epoca.

Il generare, l’aizzare e l’incrementare l’indignazione popolare fu compito, come aveva già anticipato Cuccia a Craxi qualche tempo prima, dei giornali e delle TV. La regia di questo compito fu affidata al quotidiano di Scalfari e De Benedetti, la Repubblica, al Corriere della Sera (della Fiat dell’avvocato Agnelli, di alcune banche e di diversi capitani d’industriai, i membri del famoso “salotto buono” riuniti da Enrico Cuccia in Mediobanca) diretto da Paolo Mieli che nel biennio precedente era stato direttore alla Stampa di Torino (sempre in quota Agnelli) e al Tg 4, in quota Berlusconi, diretto da Emilio Fede con i collegamenti esterni dell’indimenticabile Paolo Brosio successivamente folgorato sulla via di Damasco

Piero Sansonetti, allora vice direttore all’Unità diretto da Walter Veltroni così sintetizza nel suo volume “La sinistra è di destra” ciò che in quel periodo avveniva ovvero che c’era un’alleanza tra la Stampa, Repubblica, il Corriere della Sera e l’Unità, ai quali successivamente si associarono altri giornali come il Messaggero e il Giornale di Montanelli. Infatti racconta che verso le sette di ogni sera ci si scambiava varie telefonate tra i direttori e le redazioni per discutere e mettersi d’accordo su come aprire i giornali e, soprattutto, quali notizie sparare in prima pagina e la tipologia dei commenti da evidenziare e che a guidare le operazioni erano principalmente Walter Veltroni e Paolo Mieli.

Fino ad arrivare al punto in cui Ignazio Stagno riportò che Sin dai tempi di Mani pulite il Corriere aveva due direttori, Mieli e Francesco Saverio Borrelli, il procuratore capo di Milano. I magistrati ci passavano tutto Sallusti è un fiume in piena e aggiunge: I magistrati ci passavano le notizie, con una tempistica che serviva a favorire le loro manovre. in una intervista “Alessandro Sallusti si confessava al Foglio di Giuliano Ferrara, il direttore de “Il Giornale” racconta i suoi anni al Corriere della Sera”. In conclusione un evviva va ai Paesi anglo sassoni dove il procuratore è solo l’avvocato dell’accusa con contratto a termine e non ha niente a che spartire col giudice giudicante e dove passa al vaglio del popolo che lo dovrà eleggere. Meditate gente meditate. Forse da questo governo nascerà un topolino su cui si aprirà il fuoco incrociato dell’ANM, del Pd e dei 5 stelle.

Montesquieu sentenziò chesarebbe un abuso se il giudice facesse lo stesso mestiere del pubblico accusatore!

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