Il Governo non avrebbe voglia di restituire i soldi ai pensionati tolti col ‘Salva Italia’ bloccando l’adeguamento degli assegni al costo della vita, ma d’altra parte deve ottemperare alla sentenza della Consulta che ha giudicato illegittimo quel provvedimento e dunque, de facto, lo ha cancellato. I problemi per il Governo sono due: i soldi da scucire in tempi di vacche magrissime e le elezioni regionali alle porte. Il voto spingerebbe a restituire tutto e subito il maltolto, ma la cifra non è per nulla facile da reperire. Però, si ragiona, sarebbe anche una bella spinta ai consumi.
Un gruzzoletto per i pensionati a mille euro
I conti dell’Ufficio parlamentare di bilancio dicono che a ogni pensionato di poco sopra a tre volte il minimo INPS, ovvero 1400 euro lordi, attorno ai mille netti, lo Stato ha tolto di tasca quasi 4.500 euro in due anni! Per l’esattezza circa 3.000 euro per i tre anni passati e 1.230 in più per l’anno 2015. Un salasso incredibile per un pensionato a quel livello, eppure sembra che il danno l’abbia fatto la Corte Costituzionale.
Nel dettaglio escono queste cifre: pe i trattamenti pari a 3,5 volte le pensioni minime (1.639 euro nel 2011) l’arretrato per il 2012 sarebbe di 567 euro annui, a cui vanno aggiunti 1.214 euro del 2013 e 1.226 (sempre annui) del 2014. Per il 2015 l’aggiornamento sarebbe di 1.229 euro.
Per le pensioni superiori a 4,5 volte il trattamento minimo gli arretrati ammontano a 3.789 euro (715 euro nel 2012, 1.531 euro nel 2013 e 1.543 euro nel 2014). Per il 2015 la maggiorazione sarebbe di 1.547 euro.
Per le pensioni che superano di 5,5 volte i trattamenti minimi gli arretrati ammontano invece a 4.501 euro (851 del 2012, 1.820 del 2013 e 1.830 del 2014). Per il 2015 la maggiorazione sarebbe di 1.883 euro.
L’ultima fascia, quella delle pensioni superiori 9,3 volte il trattamento minimo, potrebbe contare su un arretrato di 6.959 euro (1.317 del 2012, 2.815 del 2013 e 2.827 euro del 2014). Per il 2015 la maggiorazione sarebbe di 2.831 euro.
Lunedì la questione in CDM
C’è sempre sul campo l’ipotesi di rinviare tutta la questione a giugno, a urne chiuse, ma l’occasione di ‘vendere’ una decisione che restituisce il maltolto, anche se a rate e anche se non a tutti, sembra ormai un’occasione troppo ghiotta per non varare una qualche misura in un prossimo Consiglio dei ministri che potrebbe essere anche il prossimo di lunedì. Il ministro Padoan ha detto che lunedì la questione sarà sul tavolo del CDM. Ma come? A chi, quando e quanto?
Qui siamo solo nel campo del ‘si dice’, il tutto condizionato alle interpretazioni da dare della sentenza della Consulta perché secondo il viceministro dell’Economia Enrico Morando che è intervenuto davanti alla commissione Bilancio del Senato, la Corte non dice che si debba ‘ridare tutto a tutti’. “L’interpretazione che circola per cui la sentenza della Corte comporterebbe un ritorno alla legislazione vigente prima” del Salva Italia “non è fondata”, ha spiegato, aggiungendo che “temporaneità e progressività” sono “le due ragioni” che hanno portato alla bocciatura della norma. “Rimuoverle” porterà quindi ad ottemperare una sentenza che, se applicata in modo automatico, avrebbe invece un impatto ingente. Secondo le stime della relazione tecnica del Salva-Italia, riportate dallo stesso Morando in commissione, l’intervento, così come corretto dal Parlamento, ha portato risparmi di spesa, al netto delle tasse, per circa 3 miliardi a regime (1,8 il primo anno) degli oltre 274 miliardi di pensioni erogate dall’Inps al 2012.
Boeri (INPS) taglierebbe tutto a tutti?
Tra i ‘duri’ che se potesse non restituirebbe nulla a nessuno, c’è probabilmente il Presidente dell’INPS nominato da Renzi, Tito Boeri, che pensionato evidentemente non è e che della sua pensione futura non deve avere grande necessità. Boeri si è detto pronto per l’INPS, a saldare il debito quale che sia la scelta del governo, ma ha anche auspicato che, in virtù degli “importanti effetti redistributivi” che porterà con sé, “sia basata sull’equità non solo tra chi ha di più e chi ha di meno, ma anche anche tra chi ha avuto di più e chi è chiamato a dare di più ma avrà di meno”. Equità “non solo intragenerazionale con contributi più alti da redditi più alti, ma anche intergenerazionale. Non si possono chiedere prelievi ulteriori a chi è destinato ad avere prestazioni future più basse”.
Boeri insomma ritiene che non valgano nulla i patti impliciti nel sistema di contribuzione dei lavoratori e che insomma non ha importanza quanto il lavoratore abbia versato negli anni. Come a dire che se ha versato tanto perché ha lavorato tanto ed era bravo, ‘peggio per lui’. Invece chi ha lavorato poco e ha versato poco, casomai perché ha preferito lavorare in nero per guadagnare di più subito, avrà domani una tutela assai maggiore degli altri. Questa forma di ‘ingiustizia’ giustificata dalla necessità di ‘fare cassa’ subito e in contanti, il presidente dell’INPS la chiama ‘equità’, chissà perché. D’altra parte lo stesso Boeri insegue l’idea di dare una bella sforbiciata agli assegni pensionistici mettendo mano a un ricalcolo della differenza tra quanto viene percepito col metodo retributivo e quanto invece si percepirebbe con quello contributivo, sempre in virtù dell’idea che lo Stato può anche venir meno ai patti, ovvero alle leggi che esso stesso ha emanato e fatto rispettare fino a oggi, se questo può tornare utile. Un ragionamento molto pericoloso perché è sull’assunto che le leggi non possono avere effetti retroattivi, ovvero non possono essere cambiate per il passato, che si regge il patto sociale tra Stato e cittadino. Venuto meno questo rapporto fiduciario, può venire giù tutto, a cominciare proprio dall’INPS.
Le ipotesi in campo
Sulle ipotesi del come, quando e quanto, il Governo pensa di dover spendere una cifra attorno ai 3, i 3 miliardi e mezzo netti, da reperire tra ‘tesoretto’, quello vagheggiato che discenderebbe per 1,6 miliardi di differenza tra il deficit tendenziale e quello programmatico, e l’incasso dal rientro dei capitali, voluntary disclosure. All’interno di questa spesa si restituirebbe l’indicizzazione della quota di pensione persa per effetto del blocco per uno solo dei due anni in cui lo stop è stato in vigore (l’indicizzazione bloccata era del 2,6% per il 2012 e del 1,9% per il 2013). Ci sarebbe anche un mix di misure, con limiti di tempo ma anche per fasce decrescenti al crescere dell’assegno incassato. Si restituirebbe l’indicizzazione piena solo fino a tre volte il minimo per tutti gli assegni che superano quella soglia. Soluzione che si traduce in un rimborso più alto per chi ha pensioni basse e più basso per chi invece ha un assegno alto, comunque con un tetto oltre una soglia ad esempio di 8 volte il minimo, sempre lordi s’intende.
Insomma il Governo ha già lasciato intendere che tutto a tutti non verrà mai rimborsato e che i pensionati ‘più ricchi’ possono cominciare anche a mettersi l’anima in pace, salvo ovviamente i nuovi ricorsi che arriveranno. Per questo vale anche la pena di ricordare però che i pensionati che più avevano lavorato e più avevano versato, già erano stati ‘puniti’ perché il meccanismo di perequazione pre-riforma Fornero, prevedeva il 100% di rivalutazione per gli assegni fino a tre volte il minimo, il 90% tra tre e cinque volte il minimo e 75% oltre le cinque volte.
Un feedback positivo sui consumi
‘Non tutto il male vien per nuocere’, è il detto popolare: la manovra avrà infatti un impatto sul deficit, anche se sarà spalmata con qualche artificio contabile negli anni a venire, ma avrà anche un effetto positivo sui consumi interni e quindi sul Pil, perché non è difficile immaginare il miglioramento degli standard di vita dei pensionati a mille euro al mese che si vedono arrivare a casa all’improvviso un gruzzoletto di qualche migliaio di euro. Forse anche di più del bonus elettorale delle europee da 80 euro.
Armando Marchio